Qualche giorno fa mi è stato chiesto di fare una call alle 8 del mattino.
Ora, a parte che alle 8 del mattino probabilmente la mia faccia non ha ancora assunto i contorni giusti per affrontare con il sorriso tutta la giornata, le 8 del mattino, per iniziare con le riunioni mi sembra davvero presto, per un ufficio che va avanti quasi fino a sera. Ma fin qui…
Alla richiesta ho risposto che alle 8 non ero disponibile e ho proposto un’ora e mezza dopo, 9:30…orario che in quel momento non mi sembrava nemmeno troppo parente di mezzogiorno.
Dato per assodato che, anche nella scelta di un orario in cui sentirsi, si mette in campo una certa attività di “contrattazione“, non avevo idea che la mia controproposta delle 9:30, in questo caso, avrebbe generato una risposta che suona più o meno così: “io mi alzo alle 5:30/ alle 9:30 ho già iniziato con le cose importanti della giornata/ le call le faccio tra le 8 e le 9 al massimo/ punto”.
Ora, a parte il mio personalissimo grazie per avermi messo nel gruppo delle “cose non importanti”, la rigidità di testa non mi piace, soprattutto se sfocia anche nella rigidità comunicativa, perché le cose si possono dire sempre in tanti modi e i modi in cui dici le cose generano le risposte che vorresti avere.
La call l’abbiamo fatta alle 9, orario al quale siamo arrivati dopo 4/5 email, ma la questione è un’altra: qual è il motivo per cui il proprio lavoro deve prevalere su quello delle altre persone, soprattutto quando bisogna lavorare insieme per raggiungere un obiettivo comune?